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Tenuta Cervi

L’enorme estensione di terreno (176 ettari) della Tenuta Cervi (maldestra italianizzazione di sèrf=cerro — Quercus cerris — un tipo di quercia particolarmente diffuso nella tenuta), estendentesi dalla contrada La Ca’ fino a Prada, già di proprietà dei conti Bernini da Gargnano, verso la metà dell’Ottocento passò alla famiglia mantovana di ascendenze spagnole Bonoris.
Questa famiglia fondava la propria ricchezza su attività commerciali e finanziarie che la portarono a entrare nella cerchia dei banchieri di casa d’Austria. Nel 1860 Achille Bonoris convolò a nozze con la nobile bresciana Marianna Soncini e dalla loro unione nel 1861 nacque Gaetano.
Il giovane, una volta entrato in possesso delle attività di famiglia, promosse l’agricoltura nei suoi terreni, ivi compresa la Tenuta Cervi.
Vennero assunti molti abitanti di San Zeno di Montagna e di Brenzone con il compito di gestire una quota a testa di alberi, retribuiti con parte del raccolto e legna da ardere.
Ben presto la tenuta divenne punto d’incontro di molti giovani, che nell’emigrazione vedevano una soluzione alla miseria e i giovani di Brenzone, che già dagli inizi dell’Ottocento avevano preso la strada delle Americhe, coinvolsero nel sogno anche i Sanzenati.
Frattanto Gaetano Bonoris otteneva il titolo di conte dal re Umberto I, nel 1890, e pochi anni dopo, grazie all’amicizia con il ministro Zanardelli, venne eletto deputato.
Nel 1914 il conte venne eletto sindaco di San Zeno di Montagna e proprio lui, assieme al parroco del tempo, si oppose alle idee del dottor Alessandro Schena, intenzionato a creare un centro per malati di tisi a San Zeno di Montagna, quasi costringendolo a trasformare il centro sperato nel moderno e lussuoso Grand Hotel Jolanda.
Alla sua morte, avvenuta nel 1923, lasciò gran parte del suo patrimonio ad opere di carità; la Tenuta Cervi venne data all’Istituto Don Antonio Provolo di Verona affinché ne potesse fare una colonia climatica e agricola per sordomuti poveri della provincia.
Con l’arrivo dei nuovi proprietari cessò la collaborazione con i lavoranti montebaldini, che andarono perciò a rinfoltire le schiere di emigranti.

Dal libro “Le immagini raccontano … San Zeno di Montagna”

Associazione Scatti dalla Memoria

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